La chiesa

LA CHIESA E IL PAESE 

Il geografo Emanuele Repetti scriveva nel 1833 che Tegolaia era un casale con chiesa parrocchiale sotto il titolo di San Michele, nel piviere dell’Antella, Comunità del Bagno a Ripoli, precisando che «risiede sopra una piaggia alla destra della fiumana Ema, e dirimpetto alla confluenza del torrente Grassina, il cui borghetto è compreso nella cura medesima».

Del toponimo, che fa riferimento al latino Tegularia, con il senso di luogo nel quale si producono le tegole, si ha menzione fin dal gennaio 1055, con gli atti della donazione di un pezzo di terra vignata fatta al monastero di Santa Felicita in Firenze. Anche due donazioni di terre in favore del monastero di Montescalari, datate 6 ottobre 1098, vennero rogate in località «Tigularia».

Due secoli più tardi, al tempo della battaglia di Montaperti (1260), il popolo di «Sancti Michaelis a Tegolaia», compreso nel territorio della pieve di Antella, promise uno staio di grano a favore della spedizione fiorentina contro Siena, del quale Latino di Cherico Tebalducci si fece garante per conto del rettore Gherardo di Gerardino. La ridotta entità del contributo (la media per il territorio oggi compreso nel comune di Bagno a Ripoli fu di oltre cinque staia per popolo) denota una comunità poco consistente e al tempo stesso piuttosto misera.

Il patronato di essa spettava già nel XII secolo a due celebri famiglie che ebbero possedimenti in questa località, gli Altoviti e gli Ardinghi. Nel 1276 Lotto di Messer Jacopo Ardinghi vendette la sua parte di patronato a Messer Oddo Altoviti e da quell’epoca gli Altoviti rimasero soli ad esercitare quel diritto sulla chiesa, passato successivamente nel

1581 ai i Benedettini di Badia Fiorentina e in seguito, nel secolo scorso, pervenne ai Ricasoli e Bettino, il “barone di ferro”, fu benefattore della zona.

Nell’estate del 1393, l’incaricato del vescovo Onofrio Visdomini che visitò la parrocchia, non vi trovò neppure il parroco. La popolazione in quegli anni era decimata dalle epidemie, prima fra tutte la grande peste nera del 1348, che aveva sterminato almeno un terzo della popolazione europea.

Ancora nel 1427, all’epoca del primo Catasto come base di tassazione, Tegolaia aveva una popolazione esigua. I dati statistici, desunti nel 1965 attraverso uno spoglio sistematico delle portate, attribuiscono al popolo di San Michele quattro sole famiglie, composte da ventidue bocche, delle quali cinque maschi atti al lavoro. L’imponibile totale era di sei fiorini, a carico di una sola famiglia, essendo le altre tre miserabili senza alcun reddito.

Nel 1568 la visita pastorale di monsignor Altoviti rilevò la presenza di ottanta anime, sotto la cura dal parroco Angelo Del Santo.

Negli anni 1630-1633 il territorio del Granducato venne investito dall’ennesima epidemia di peste, l’ultima della quale si abbia memoria. L’imperversare del morbo, e il suo ripresentarsi a mesi di distanza quando ormai pareva debellato, causò nella popolazione della città e delle campagne uno sgomento tale da impetrare la grazia divina attraverso manifestazioni del tutto straordinarie. La città di Firenze trasportò entro le mura, con una solenne e partecipata processione, la venerata immagine della Madonna di Impruneta. Il popolo di Tegolaia, secondo una ricostruzione attendibile, avrebbe dato inizio proprio in quegli anni a una tradizione che si è perpetuata nei secoli, fino a giungere ai nostri giorni: la processione del Morto Redentore, divenuta oggi Rievocazione Storica della Passione di Cristo, una manifestazione, la cui fama trascende i confini nazionali.

Fu dichiarata prioria il 16 luglio 1798.

La particolare conformazione del suolo, ricca di terreni argillosi, aveva favorito lo sviluppo dell’attività di cottura dei laterizi, prevalente e peculiare del luogo accanto a quella agricola,     come testimoniano il toponimo Tegolaia e l’idronimo rio delle Argille.

Fin dal medioevo lungo l’Ema si registra la presenza di numerosi mulini, tra i quali quello localmente detto “del Lepri”, del quale si ha menzione almeno dal 29 Aprile 1358, quando il monastero dei Montescalari locò in perpetuo, per linea mascolina, «un molino a due palmenti con sue pertinenze» a Raniero del fu Ruffolo Ranieri del popolo di San Simone di Firenze. Il mulino, pervenuto ai Lepri nel 1807 e ai Goggioli nel corso del Novecento, è rimasto in attività fino al 2002.

 

Grassina versò alla guerra 1915-18 un grande tributo di dolore: ottanta giovani non videro mai più le loro case. I loro nomi furono scolpiti nel bronzo, a memoria del sacrificio, che qualche anno più tardi venne posto alla base del nuovo campanile.

Il paese come si presentava agli inizi del XX secolo pur appartenendo al comune di Bagno a Ripoli, per lo più spettava a quello del Galluzzo ed era suddiviso tra diverse parrocchie: San Michele a Tegolaia, Santa Lucia a Montauto, San Martino a Strada o Cipressi e San Jacopo a Celle. In antico era un piccolo agglomerato di abitazioni in vicinanza dell’omonimo affluente dell’Ema e della vecchia Chiantigiana, localizzata nel borgo detto Sani da una famiglia che qui faceva locanda. Parrocchialmente dipendeva dalla Cura di San Michele collegata all’abitato da un ponticello in legno sull’Ema soggetto alle frequenti inondazioni del torrente. La chiesa era indicata in diversi modi: Tegolaia, per una fornace che sorgeva nelle vicinanze, Grassina, dal corso d’acqua, e infine, a causa di un altro ponte sullo stesso torrente, San Michele al Ponte a Grassina.

La prima pietra della nuova torre campanaria fu posta il 27 maggio 1922, quando era parroco don Guglielmo Franceschi.

Contemporaneamente, si pensò di dare un nuovo aspetto alla facciata e al portale della chiesa, e di rendere più agevole l’accesso. I lavori furono diretti dal professor Luigi Caldini, il quale riprese per quest’opera le tendenze dovute all’architetto Severino Crott, al quale piacevano le ristrutturazioni che ricomponessero un’atmosfera trecentesca, mista fra romano e gotico. La cerimonia dell’inaugurazione si tenne l’8 novembre 1925, presenti autorità civili e religiose. Enorme fu il moto di stupore al tocco delle quattro nuove campane ospitate dalla torre. Le aveva fuse la ditta Bastanzetti di Arezzo. La prima, la più grande (560 kg), era stata donata dal conte Walfredo della Gherardesca, che la volle dedicare al martire San Walfredo, appartenuto in epoche assai remote alla sua stessa stirpe. Le altre furono tutte realizzate a spese del popolo di Grassina: la seconda, dedicata all’arcangelo San Michele, in “memoria dei fatti d’arme compiuti al monte San Michele e del combattimento vinto a Sernaglia dal Principe Emanuele Filiberto Duca d’Aosta” , pesava 385 chili; la terza ebbe il “titolo ed il ricordo della Madonna venerata sul Montegrappa”; la quarta, la più piccola, fu consacrata a San Donà del Piave. Queste notizie si desumono da un <<foglio>> a quattro facciate che fu fatto stampare a Grassina per l’occasione; da esso si apprende anche che l’opera fu manualmente eseguita dalla già ricordata Cooperativa dei Muratori di Grassina con il suo bravo presidente Cesare Sirigatti. In quella circostanza, fu preso un solenne impegno: ogni lunedì, un’ora dopo l’Ave Maria, la terza campana del doppio faceva sentire i suoi rintocchi a ricordo della sua fondazione e di tutti i defunti delle guerre.

Nell’interno si trovano tutt’oggi una tela rappresentante San Michele e un’altra, attribuita al Curradi, raffigura il battesimo di Sant Agostino da parte di Sant Ambrogio; in passato vi era anche una Deposizione di Croce di Andrea del Sarto, copia commissionata al Pacini dalla famiglia Pitti e un Crocifisso modellato dal professor Antonio Berti, oggetto di particolare devozione.

La ricchezza delle acque ha favorito soprattutto la nascita e lo sviluppo di una attività di cura e lavaggio dei panni, che il rapido aumento della popolazione di Firenze, divenuta capitale del Regno d’Italia, fece decollare in maniera vertiginosa, fino a farla diventare preponderante. Ormai della piccola Tegolaia non c’era che il ricordo. Grassina si era espansa rapidamente, fino a diventare il centro urbano più popoloso dell’intero comune    di Bagno a Ripoli.

La chiesa di San Michele a Tegolaia